Onorevoli Colleghi! - La prostituzione è un fenomeno sociale dal carattere mutevole da sempre presente nella storia dell'umanità. Gli studi sui molti volti che essa ha assunto durante i secoli riempiono innumerevoli libri. La prostituzione, diversa da epoca a epoca, e trasversale a tutti gli strati della società e ai generi, è un fenomeno ineliminabile, come la stessa libertà dell'uomo, che non si può criminalizzare, ma che va affrontato con sensibilità e rispetto. Come non ricordare che per secoli nella società occidentale è stata declinata solo al femminile e ha rappresentato uno dei tanti modi di dominio dell'uomo sul corpo della donna?
      La realtà odierna della prostituzione rende necessaria l'introduzione di uno strumento legislativo che abbia a suo fondamento due soli princìpi: 1) l'affermazione e la difesa della dignità, del diritto alla salute e all'autodeterminazione delle persone, donne e uomini, che scelgono in piena libertà di esercitare la prostituzione; 2) la lotta senza confini alla prostituzione coatta e al suo sfruttamento.
      Come altri hanno ben scritto, nella storia sociale della prostituzione si sono succeduti e intrecciati quattro modi di regolarla basati su altrettanti modelli: quello proibizionista/criminalizzante, quello regolamentarista, quello abolizionista e quello neoregolamentarista/decriminalizzante.
      A) Il sistema proibizionista/criminalizzante. Consiste nel vietare la prostituzione, sia per ragioni di tutela della morale pubblica, sia per ragioni di prospettiva ideale, volta all'eliminazione del sesso a pagamento ritenuto lesivo della qualità dei rapporti umani e della dignità della persona che si prostituisce, declinata storicamente

 

Pag. 2

al femminile. È il caso dei regimi una volta vigenti negli ex Paesi comunisti e attualmente in alcuni Stati degli Stati Uniti d'America, nonché della recente scelta operata dalla Svezia che ha messo al centro la tutela della dignità femminile e la salvaguardia del corpo femminile dalla violenza maschile esercitata attraverso il denaro. Tale sistema introduce, infatti, la punizione del cliente attribuendo così allo Stato la funzione etico-pedagogica di sanzionare un comportamento sessuale maschile. È questa una posizione che rappresenta una novità, poiché storicamente il proibizionismo ha sempre sancito il comportamento della prostituta, in quanto comportamento sessuale femminile fuori del matrimonio.
      B) Il sistema regolamentarista. È il sistema alternativo alla criminalizzazione. Tuttavia questa definizione è estremamente ampia e va dalla «statalizzazione dei bordelli» alla regolamentazione giuridica ed economica da parte dello Stato dell'esercizio della prostituzione come avviene oggi nei Paesi Bassi. La legalizzazione spesso include l'imposizione di tasse e restrizioni per l'esercizio della prostituzione in luoghi e zone particolari. In molti sistemi che consentono l'esercizio della prostituzione le leggi in vigore regolamentano anche la vita delle prostitute, prescrivendo controlli sanitari e luoghi di residenza. Era il caso dell'Italia prima della «legge Merlin» (legge 20 febbraio 1958, n. 75). Nei sistemi regolamentaristi classici è sempre previsto il controllo sanitario obbligatorio della persona che si prostituisce come misura, rivelatasi poi puntualmente inefficace, di contenimento delle malattie veneree, in particolare della sifilide.
      C) Il sistema abolizionista. Il fine ultimo di tale sistema è l'abolizione della prostituzione come attività che sfrutta e mortifica la dignità della persona che si prostituisce. Storicamente il sistema abolizionista non consente allo Stato di gestire direttamente i comportamenti relativi all'esercizio della prostituzione, in quanto pur abolendo la disciplina legale delle case di tolleranza, non arriva tuttavia alla proibizione di tali comportamenti.
      D) Il sistema neo-regolamentarista/decriminalizzante. Questo movimento comporta la rimozione di qualunque legge che penalizzi l'attività sessuale consensuale tra adulti, in un contesto commerciale. La commissione delle donne del Parlamento europeo già nel 1990 chiedeva agli Stati membri di decriminalizzare la prostituzione a tutela della salute e della sicurezza delle prostitute, sottolineando che la condizione di semi-illegalità nella quale generalmente operano incoraggia gli abusi come la prostituzione per costrizione, in condizioni di lavoro degradanti, i maltrattamenti e altri delitti.
      L'applicazione del sistema regolamentarista in Italia è cessata con la «legge Merlin», ritenuta anche dalle associazioni delle prostitute un atto di lungimiranza del Parlamento destinato a incidere sul costume e sulla mentalità degli italiani. Quella legge rimane oggi valida in alcuni punti e meno o per niente in altri. La chiusura delle case di prostituzione ha significato nello stesso tempo: proibizione di ogni attività volta a trarre guadagno dall'esercizio altrui della prostituzione; proibizione di discriminazioni, attraverso schedature, di donne che esercitano la prostituzione; affermazione della prostituzione come attività lecita attinente alla sfera privata dei rapporti tra persone, non perseguibile né per chi la esercita, né per chi la utilizza.
      L'esigenza di affrontare questo tema, di ripensare gli strumenti che lo regolamentano, salvaguardando quel che di valido ancora c'è nella legge Merlin, ma allo stesso tempo ponendo alla base dell'intervento legislativo i due princìpi poco sopra enunciati, ha portato all'elaborazione della presente proposta di legge, che tiene conto della realtà della prostituzione in Italia negli ultimi anni.
      In particolare:

          nell'articolo 1 si fissa il principio del divieto di discriminazione per chiunque, uomo o donna, scelga di esercitare la prostituzione, considerata attività lecita e

 

Pag. 3

non perseguibile se esercitata in conformità alla legge. Altresì si afferma che la prostituzione è e non può che essere un'attività liberamente scelta dalla quale si può cessare in qualsiasi momento;

          nell'articolo 2 si offre la definizione dell'attività di prostituzione intesa come prestazione di qualsiasi servizio sessuale, offerto da un uomo o da una donna, maggiorenni, al fine di trarne un guadagno; nonché la definizione di adescamento come attività che svolge in pubblico chi si prostituisce per procacciarsi clienti;

          nell'articolo 3 si stabilisce che la prostituzione può essere esercitata solo come attività personale e individuale, e non in forma associata di persone che esercitano la prostituzione. Tuttavia, come specifica l'articolo 4, all'interno dello stesso immobile possono esercitare contemporaneamente fino a un massimo di quattro persone, purché l'immobile disponga di un numero di ambienti e bagni almeno pari al numero delle persone che lo utilizzano per la loro attività. A tale previsione si aggiunge quella del divieto per chiunque di trarre profitti dall'altrui attività di prostituzione svolgendo attività di intermediazione sotto qualsiasi forma per chi si prostituisce;

          nell'articolo 4 si stabilisce che le abitazioni all'interno delle quali è esercitata la prostituzione, anche condividendo gli spazi tra più persone fino al limite massimo già ricordato di quattro contemporaneamente, devono essere nella disponibilità di chi le utilizza. Non costituisce esercizio in forma associata la partecipazione alle spese derivanti dalla conduzione dell'immobile di tutti coloro che esercitano nella medesima dimora, i quali possono anche prestarsi reciproca assistenza in qualsiasi modo, purché senza scopo di lucro. Viene favorito in questo modo lo svilupparsi di forme di solidarietà tra persone che esercitano la prostituzione. L'esercizio nello stesso immobile da parte di più persone deve essere ispirato, quindi, al rispetto continuo dei diritti fondamentali di ciascuno e dell'autoregolamentazione del proprio lavoro. Negli immobili in cui ci si prostituisce non possono abitare o essere presenti minori degli anni diciotto, qualsiasi sia il legame con chi si prostituisce. È previsto altresì che è lecito concedere in locazione un immobile a persona che vi eserciti l'attività di prostituzione. Allo stesso modo è lecita la pubblicità della prostituzione, ma in essa non può essere indicato l'indirizzo dell'immobile dove viene svolta;

          nell'articolo 5 si disciplina l'esercizio della prostituzione all'aperto. Si individuano dei luoghi nelle cui vicinanze vige un divieto assoluto dell'adescamento e dell'esercizio della prostituzione, quali scuole di ogni ordine e grado e luoghi di culto di tutte le professioni religiose. Si prevede altresì che i comuni possano approntare un elenco di altri luoghi presso i quali vige lo stesso divieto, purché tale possibilità non costituisca l'espediente per vietare del tutto l'esercizio all'aperto della prostituzione sul territorio comunale. Allo stesso modo i comuni possono, d'accordo con le associazioni e i rappresentati di chi esercita la prostituzione, individuare delle aree in cui la prostituzione è espressamente autorizzata, disciplinando orari e modalità di utilizzo di tali luoghi. Questa previsione è introdotta con la finalità di spingere i comuni a predisporre degli interventi in tali aree finalizzati a garantire la salute, la dignità, la sicurezza e l'incolumità di chi si prostituisce, nonché la sicurezza e l'incolumità dei cittadini. Tra le misure da adottare ne vengono indicate solo alcune, come l'installazione di distributori di preservativi, la predisposizione di parcheggi, l'installazione di bagni, dell'illuminazione stradale, di cestini dell'immondizia e via dicendo. A carico di chi viola il divieto di adescamento o prostituzione nelle aree dove non sono permessi è prevista con una sanzione amministrativa da 500 a 3.000 euro. La stessa sanzione si applica ai clienti;

          nell'articolo 6 si introduce la possibilità per chi si prostituisce di regolarizzare la propria attività di prostituzione, esercitandola come lavoro autonomo, sottoposto

 

Pag. 4

a prelievi fiscali, versamenti contributivi previdenziali e assistenziali. Tale possibilità è rimessa alla libera scelta del lavoratore, che potrebbe al contrario scegliere di continuare a esercitare la prostituzione in maniera non regolarizzata. La disciplina di dettaglio per l'esercizio di questo diritto è rimessa a un successivo provvedimento del Ministero competente, da adottare entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge, con l'esplicito divieto di contenere l'istituzione di registri o elenchi determinati nei quali chi voglia esercitare la prostituzione in maniera regolare sia obbligato a iscriversi. In ogni caso il reddito derivante dall'attività di prostituzione non è sottoposto a IVA;

          nell'articolo 7 si prevede l'istituzione in ogni provincia di una Commissione per l'osservazione della prostituzione, all'interno della quale in maniera sinergica lavorano pubbliche amministrazioni, Forze dell'ordine, associazioni o rappresentanti di chi esercita la prostituzione, associazioni del privato sociale che si occupano di prostituzione e rappresentanti delle aziende sanitarie locali. Vengono individuati diversi compiti delegati alla Commissione, quali: il monitoraggio delle realtà della prostituzione nel territorio provinciale; la prevenzione e la lotta contro lo sfruttamento della prostituzione, anche attraverso la legittimazione a presentare denunce alla magistratura e a lavorare in stretto contatto con le Forze dell'ordine; la protezione e sostegno delle persone sfruttate; la protezione della privacy e della salute di chi esercita la prostituzione; la difesa della sicurezza e incolumità di chi esercita la prostituzione e dei cittadini; la preparazione di linee guida per i comuni sugli orari e le modalità di esercizio della prostituzione nei luoghi pubblici, nonché sulle misure da adottare in tali luoghi al fine di tutelare la salute e la dignità di chi si prostituisce, nonché di garantire la sicurezza e l'incolumità loro e dei cittadini; la presentazione al Parlamento di una relazione annuale sulla realtà della prostituzione nel territorio provinciale, sul rispetto dei diritti e della dignità di chi esercita la prostituzione e sulla prevenzione e la lotta contro lo sfruttamento. La Commissione funziona anche da «sportello» al quale può rivolgersi direttamente chi esercita la prostituzione al fine di avanzare proposte e fornire suggerimenti, nonché di denunciare situazioni di sfruttamento o altri fatti e situazioni di interesse della Commissione o che rientrano nella sua competenza. La Commissione, tuttavia, nel rispetto della dignità delle persone che esercitano la prostituzione, non può in alcun modo formare o detenere elenchi in cui vengono raccolti i loro dati;

          nell'articolo 8 sono contenute previsioni che vanno nella direzione di affermare concretamente il rispetto della dignità e del diritto alla salute delle persone che esercitano la prostituzione o che decidono di interromperne l'esercizio. Le regioni e gli enti locali, insieme con le associazioni che si occupano di prostituzione e con le associazioni delle stesse persone che si prostituiscono, devono adottare tutte le misure necessarie e idonee al reinserimento sociale di chi decide di interrompere l'esercizio della prostituzione. In tale attività possono essere coinvolte anche le associazioni di categoria, laddove il loro contributo possa determinare un miglioramento degli interventi e dei servizi elaborati. Alle regioni è rimesso il compito di occuparsi della formazione di tutti gli operatori pubblici o privati che lavorano a contatto con la prostituzione nonché, in accordo con i comandi regionali delle diverse Forze armate e di polizia, della formazione delle stesse Forze dell'ordine con il fine di giungere a garantire sempre il rispetto della dignità delle persone che esercitano la prostituzione. La formazione deve riguardare anche le attività di informazione, prevenzione e cura delle malattie sessualmente trasmissibili. Gli interventi di formazione sono realizzati dalla regione attraverso l'utilizzo in rete dei servizi sociali, del lavoro e sanitari. I costi derivanti dalle attività delle regioni, nonché quelli per l'istituzione e le attività delle Commissioni provinciali per l'osservazione della prostituzione, sono coperti dal Fondo nazionale

 

Pag. 5

per le politiche sociali, secondo la determinazione annuale stabilita con decreto del Ministro competente, sentita la Conferenza unificata;

          nell'articolo 9 sono previste modifiche al codice penale attraverso l'inserimento dell'articolo 600-octies, con il quale si prevede che l'induzione, la determinazione, l'istigazione o lo sfruttamento della prostituzione sono puniti con una pena da quattro a dieci anni di reclusione. La pena della reclusione va da quattro a nove anni per chi, in Italia o all'estero, promuove, costituisce, dirige, organizza o finanzia l'associazione di tre o più persone finalizzata a commettere i predetti delitti. Chi invece partecipa a tale associazione, ovvero in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo ne agevola o favorisce l'azione o gli scopi, è punito con una pena da tre a sei anni. Sono previste riduzioni di pena per chi dissociandosi evita che la continuazione dell'attività delittuosa porti a conseguenze ulteriori, anche aiutando gli inquirenti a raccogliere le prove dei reati, a ricostruire i fatti e a individuare o catturare gli autori dei reati. Con l'inserimento di questo articolo all'interno del codice penale si è proceduto sostanzialmente a sostituire alcuni commi della «legge Merlin» al fine di inasprire le pene e di adeguare alla realtà odierna le fattispecie delittuose previste. L'imputato del delitto di associazione finalizzata alla commissione dei delitti in materia di prostituzione, sopra elencati, è sempre soggetto alla confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne costituirono il prezzo, il prodotto o il profitto;

          l'articolo 10 contiene disposizioni specifiche per le persone extracomunitarie, che possono esercitare la prostituzione in Italia solo se in possesso di un regolare permesso di soggiorno. Se una persona viene fatta entrare nel nostro Paese clandestinamente con la lusinga di un lavoro regolare, che non sia la prostituzione, alla quale sia stata poi costretta, può chiedere di essere salvata dagli sfruttatori e ha diritto all'assistenza e alla protezione sociale, nonché al rilascio di uno speciale permesso di soggiorno, secondo quanto previsto dall'articolo 18 del testo unico sull'immigrazione, di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, della durata di sei mesi, rinnovabile di un ulteriore anno o per il maggior periodo occorrente per motivi di giustizia. Con il comma 1-bis dell'articolo 18 citato, introdotto dall'articolo 10, si prevede che sussiste sempre grave sfruttamento quando la persona extracomunitaria sia stata indotta o costretta alla prostituzione;

          nell'articolo 11 è prevista l'abrogazione di alcuni articoli e disposizioni della «legge Merlin», che vengono di fatto modificati o sostituiti dalle previsioni della presente legge.

 

Pag. 6